“Non è il capitale che scarso, è la visione che manca”.
Lo aveva capito un uomo nato mentre si spegnevano gli echi della prima guerra mondiale, Samuel Moore Walton. E lui, l’americano fondatore della catena di supermercati Wal-Mart, sapeva bene che significasse avere una visione.
E voi? Ce l’avete una ‘Visione’ di voi stessi, della vostra azienda?
O se le cose non vanno pensate che, in fondo, non ne siete responsabili perché c’è la crisi, perché è il sistema che vi costringe a vivere in bilico?
Per Sebastiano Zanolli, manager e scrittore, attualmente amministratore delegato di 55DSL, linea giovane del gruppo Only the brave Diesel, non ci sono scuse, non ci sono alibi. D’altra parte il titolo del suo ultimo libro è chiaro: ‘Io, società a responsabilità illimitata’.
“Sai perché l’ ho scritto? Perché mi sono stufato di gente che va in cerca di qualcuno cui addossare la colpa delle proprie disgrazie”.
Già, serve una visione, la capacità di continuare ad imparare, far fruttare il talento in sé stessi e nelle persone intorno a noi. Ma alla base, lo dici tu, ci deve essere la fede, la certezza che si è sulla strada giusta. E di questi tempi è dura.
“Invece io penso che non abbiamo il diritto di non avere fiducia, se abbiamo idee da realizzare. Guardiamoci intorno, abitiamo in una delle regioni più ricche della terra, abbiamo comunque molte più possibilità che in innumerevoli altri posti del mondo. A chi ‘si siede’ non riesco a perdonare la mancanza di coraggio, di ‘visione’ che per me fa il paio solo con un’altra parola: pigrizia”.
Quella che è figlia dei buoni risultati ottenuti per inerzia quando le cose andavano bene?
“Esatto. Perché l’alternativa si cerca quando non si ha bisogno di un’alternativa. Se questa stretta economica però ci spinge ad alzarci dalla nostra bella poltrona, a preoccuparci per il futuro non può che essere un bene perché innanzitutto ci farà recuperare il valore di due cose fondamentali: il sacrificio e il risparmio. Appartengo alla generazione alla quale regalavano i salvadanaio, oggi invece ti dicono che se non spendi non fai girare l’economia, siamo passati dalla parte opposta.
Eppure di consumo vivi pure tu.
Certo, ma se consumiamo oltre le nostre possibilità, se si offre il credito al consumo a chiunque il sistema da qualche parte si rompe e qualcuno paga. Servono regole in
un’economia in cui siamo vittime e carnefici. Oggi ci stiamo chiedendo: ma come? Non è normale avere tre macchine in due? Ne bastano due? Una? Organizziamoci meglio, prendiamo l’autobus. E va benissimo. Quello che non è accettabile è che a pagare il prezzo di questa crisi siano i più deboli.
Perché a molti livelli si è ragionato da società a responsabilità…limitata.
Ecco l’errore della visione che ci ha condotto fin qui. Invece la regola alla base di una visione,in azienda come in economia e in politica, dovrebbe ispirarsi a quella dei capo indiani Navaho per i quali ogni decisione inerente alla propria tribù deve tenere conto delle conseguenze prodotte sulle successive sette generazioni.
In questi anni invece si è inseguito un concetto molto personale di successo. Che la crisi ci aiuti a ‘ritararlo’?
Come diceva lo psicologo Enzo Spaltro, se quelli che stanno bene non fanno stare meglio quello che stanno peggio, prima o poi quelli che stanno peggio faranno male quelli che stanno bene. La crisi ha reso concreto il concetto. Il miglioramento personale può essere la molla, è umano, ma poi per raggiungere obiettivi che abbiano un valore bisogna uscire dal guscio dell’’io’, non ci si può realizzare indipendentemente dagli altri ma con gli altri e in una prospettiva di così grande respiro tutto può essere possibile.
Per chi questa crisi può essere un’opportunità?
La questione è proprio se lo sarà per chi fino ad oggi è stato bene o per altri. Sarà un’opportunità per chi si tira su le maniche, per chi si inventa cose nuove per chi, non smette di imparare ed è disponibile ad accettare sacrifici, visioni diverse. E in un mercato che si è magicamente ingrandito non è detto che lo sia per noi, potrebbe essere un’opportunità per il ragazzino albanese di seconda generazione che parla perfettamente l’italiano o per un filippino che oggi va avanti e indietro per l’Europa.
C’è qualcosa che può favorire la nostra ‘visione’ del futuro?
Di certo l’apertura mentale. Non è frutto tanto di studi o di libri, ma è la possibilità che distingue le persone che si sono mostrate disponibili a credere che anche l’idea di un magazziniere poteva cambiargli la vita o che ci poteva stare l’apertura di un mercato nuovo.
E tu? E come sei arrivato ad essere un manager Diesel?
Lo volevo, lo volevo veramente: si trattava dei ‘Rolling Stones’ del mio settore! Ho inviato il curriculum per 5 anni, ho incontrato persone, ho telefonato a tutto il mondo e poi, dopo l’ennesimo curriculum inviato, sono stato contattato da un ‘head hunter’ attraverso uno dei mille canali che avevo imboccato.
Eppure c’è anche chi… è salito su un palco e si è trovato a cantare anziché a ballare come voleva e ha trovato la sua strada così. A chi non ha le idee chiare su quale sia la propria strada che dici?
Che non ci sono chiavi che valgano per tutti, ma un insieme di strumenti che concorrono a trovare una soluzione. Ha molto a che fare però con quella che lo psicanalista James Hillman chiama ‘La teoria della ghianda’: quando nasce è solo una ghianda,ma ha al suo interno la vocazione a diventare una quercia, non c’è niente da fare. Dentro, da qualche parte, abbiamo la nostra quercia, il punto è cercare e rimanere aperti alle possibilità. Le cose bisogna cercarle e accoglierle per trovarle, non arrivano da sole. Ma diciamoci la verità: c’è molta gente che questi problemi non se li pone nemmeno e si piazza davanti alla Tv a vedere ‘Il Grande fratello’.
Cioè vive la vita degli altri invece di costruire la propria?
Tutte le volte che non sei tu a riempire uno spazio nella tua vita, sono gli altri a farlo. In che misura è sempre una scelta di cui solo noi siamo responsabili. C’è chi vive quella degli altri perché è difficile lavorare sulla propria vita e affrontare il travaglio necessario alla trasformazione, il momento caotico del cambiamento necessario a raggiungere qualcosa di buono. E vale anche per questa crisi.
Il punto è che oggi a frenare è la paura. Dell’operaio che non sa se continuerà a lavorare o dell’ imprenditore che sta in ansia per gli ordini che non arrivano. La conosci la paura tu che ci hai scritto anche un libro (Paura a parte, ndr)?
Sono l’evoluzione di un bambino cresciuto nella paura, figlio di un piccolo imprenditore che in famiglia ascoltava il ritornello del ‘Ma ghe xe ordini…’? Ma ho imparato che per non farsi vincere da questo ostacolo l’importante è fare qualcosa. Se non ci provi la situazione non può cambiare e la paura comincerà a vibrare dentro di te fino a sopraffarti. E’ come buttare un sasso in uno stagno: solleverà del fango magari, ma quando si depositerà comunque il fondale sarà cambiato.
E se fossi un precario che faresti?
Mi chiederei come posso semplificare la vita alla gente. Non è importante difendere il proprio posto di lavoro, quanto la propria impiegabilità e per farlo devi sempre risolvere i problemi di qualcun altro.
E sempre tenendo a mente… il maestro Jedi Yoda di ‘Guerre Stellari’.
Che diceva: “Do, or do not. There is no try’. Fare o non fare, non c’è provare. Perché in quel ‘provare’ c’è quella specie di vaccino che ti inietti per risparmiarti il dolore di un fallimento, che però limita anche le tue potenzialità. Non è il fallimento che dobbiamo temere, il rischio va messo in conto. L’importante è ripartire senza accettare la mediocrità o la castrazione dei propri talenti.
Nessun commento:
Posta un commento