Il mio Blog e il mio sito diventano una sola cosa...www.sebastianozanolli.com

Ciao....il mio blog ed il mio sito diventano una sola cosa.

Da oggi, 17 Settembre 2009,

www.sebastianozanolli.com raccoglie tutto. Opinioni, spunti, strumenti, commenti, dati e date, appuntamenti, foto, files...

Insomma...questo blog che mi ha dato tanti amici e soddisfazioni cambia indirizzo....ma non cambia anima.

Ci mancherebbe...

Grazie per l'affetto. Davvero.

Sebastiano

giovedì 27 novembre 2008

BUON COMPLEANNO SEBASTIANO!

Un grande abbraccio

e mille di questi giorni...

Semplicemente.

Dal Team ........

Che fa la differenza!

venerdì 21 novembre 2008

UNA GIORNATA MERAVIGLIOSA

Oggi è stata una giornata dura.
Raffreddore, febbre, tosse.
Meeting, clienti scontrosi, colleghi preoccupati, mogli di corsa e figli richiamati dai professori.
Auto guaste, traffico e nebbia, la multa di un ente su alcune gabelle di 10 anni fa dimenticate da una agenzia distratta.
Una giornata dura.
Stancante e logorante come un cappotto vecchio che non scalda per nulla.
Telegiornali sciamanti notizie ripiene di ansia.
Pil in calo, inflazione, deflazione, stagflazione, mib, euribor, pedofilia e aggiotaggio.
Scioperi e abigeato.
Una giornata dura.
Torno tardi.
Quasi l'una.
La caffeina mi tiene sveglio: 7 caffè.
Un record.
Mi batte la tempia come se fossi ad un concerto tecno.
Vibro come una bandierina di mare agitato.
Una giornata dura.

Guido piano, il sonno mi stende.
Penso tutto il male possibile...
Ma quando tutto cade ecco una corda.

Accendo la radio.Sento un programma.

Una intervista che mi torce il cuore e l'anima.

Si chiama Nedo Fiani.

Arrivo a casa.
Non ho diritti,
non ho stanchezza nè tosse,
nè scuse nè alibi per non scrivere.

Non posso stendermi sotto delle lenzuola pulite e calde se prima non do un cenno di vita.
Vero.
Che mi dimostri che sono un uomo.

Devo dirmi qualcosa.

Voglio dirmi che oggi è andato tutto bene,
che ho avuto la mia parte di gioia non guadagnata.

Che oggi non ho attraversato l'Europa in un vagone bestiame al freddo e al buio.
Che oggi non ho dovuto abbracciare mia madre per abbandonarla per sempre.
Che oggi non ho dovuto spogliarmi e spidocchiarmi o defecare in pubblico con altri centinaia di persone.
Che oggi non ho visto morire centinaia di bimbi sani.
Che oggi non ho avuto in premio una legnata per il solo fatto di esserci.
Beh...E' già molto.
Ma non ho fatto molto perchè non si ripeta.
Scrivere è un primo passo.
Solo un primo passo. E si doveva fare prima di riposare.
Prima che passi la tosse.
Prima che il Mib risalga.

Perchè oggi è stata una giornata meravigliosa.

Grazie Signor Nedo.

Nedo Fiano nel 1944 aveva 19 anni, fu arrestato, internato a Fossoli, e quindi deportato in Germania, ad Auschwitz assieme al padre alla madre e ad altri familiari: erano in undici e ritornerà soltanto lui.

Fiano racconta con crudo realismo il terribile viaggio di una settimana in un carro bestiame sovraffollato, con soltanto il pochissimo cibo che erano riusciti a portarsi e con una sosta ogni giorno: tutti giù dal treno per i bisogni corporali, l'uno vicino all'altro sulla massicciata ferroviaria vincendo ritrosia e pudore; racconta come avesse intravisto il fianco nudo della madre e come ciò lo avesse sconvolto.

Nell'interminabile viaggio, soltanto nel suo vagone, un vecchio era morto e due neonati continuavano a piangere non trovando più latte a sufficienza dalle madri.
Poi l'arrivo ad Auschwitz nella notte, e all'alba il violento scarico, perché questo è il termine più appropriato, dei deportati dal treno, con le SS con randelli e cani che urlavano ordini per la gran parte incomprensibili e separavano in gruppi i deportati.

Faceva impressione sentire Nedo Fiano, che il tedesco lo conosce bene, ripetere con realismo questi ordini quasi latrati.
Nonostante il viaggio terribile il padre di Fiano scese dal treno con la giacca, il colletto duro e il cappello.

La madre fu separata dagli uomini e messa nel gruppo che, si seppe dopo, sarebbe stato immediatamente portato alle camere a gas, sterminato e bruciato nei forni.
Pur non conoscendo con esattezza il suo destino, la madre capì che quella era l'ultima volta che vedeva il figlio e si abbracciarono con le facce inondate di lacrime.
Il momento più terribile in assoluto, dirà Fiano rispondendo alla domanda di un ragazzo.

Poi la vita nel campo e l'episodio che lo aveva “miracolato” ed aveva consentito la sua sopravvivenza: all'inizio, ad una ispezione, un maresciallo delle SS chiese chi fra i prigionieri conoscesse bene il tedesco per fare da interprete, Fiano racconta che si sentì come sospinto dal nonno (morto alcuni anni prima) che aveva molto insistito affinché il recalcitrante nipote imparasse il tedesco.
Si presentò davanti al maresciallo che lo interrogò e che rimase come folgorato apprendendo che era nato a Firenze, evidentemente da lui conosciuta ed ammirata.

Sta di fatto che venne messo nel gruppo degli interpreti, un centinaio di uomini, che avevano l'incarico di essere presenti e di dare istruzioni all'arrivo dei convogli dei deportati, di notte e di giorno.
Un incarico fisicamente meno pesante dei lavori in cava o nelle fabbriche degli altri prigionieri.

Poi la descrizione della catena ininterrotta dello sterminio di massa: ad Auschwitz si è arrivati a gassare e bruciare fino a diecimila esseri umani al giorno, all'aperto quando i forni non ce la facevano: l'arrivo dei convogli, la selezione dei più deboli, non utili ai lavori forzati, il trasporto ai “bagni”, mille alla volta, l'obbligo di denudarsi nella promiscuità completa (un grave shock per persone strappate alle abitudini borghesi, sbattute nell'inferno e trattate come non-persone), le scarpe da legare fra di loro con le stringhe, per ritrovarle più facilmente dopo il bagno, dicevano, gli abiti appesi, e ricordatevi il numero.
Poi nella camera delle “docce”, le camere a gas: le luci si spegnevano e veniva introdotto il micidiale Ziklon B che però non uccideva istantaneamente, ci volevano cinque minuti, cinque minuti di agonia atroce e nessuno può immaginare cosa quelli che venivano uccisi potevano provare.
Poi i “Sonder Kommando”, le squadre speciali dei prigionieri addetti al “trattamento” dei cadaveri, tutti destinati ad essere a loro volta uccisi.
I cadaveri nudi venivano ispezionati, ano e vagina, per vedere se non avevano dei preziosi nascosti, venivano strappati i denti d'oro, alle donne venivano tagliati i capelli.

Poi i cadaveri venivano sbattuti su delle specie di barelle, portati con il montacarichi al piano superiore ed infilati nei forni crematori: 50 minuti a trecento gradi e dal fondo dei forni veniva scaricata la cenere che poi veniva trasportata con camion ribaltabili e buttata nella Vistola.

Pare che i pesci apprezzassero molto questa pastura umana...

mercoledì 19 novembre 2008

PRIMO INCONTRO - IL GRUPPO 'LA GRANDE DIFFERENZA' SI RITROVA A....

Ci vediamo questa sera
mercoledì 19 novembre
alle 21.00
presso il Martini 47 in via Martini, 47 - Nove (VI)
per il primo incontro
del gruppo 'LA GRANDE DIFFERENZA'.

ETICA 2 - Intervista a Sebastiano

'D: Quale è la sua definizione di etica professionale?

R: Direi che è il tentativo di usare in modo positivo il proprio arbitrio. Di avere dei criteri meno imperfetti possibili per decidere, portando a casa felicità, il più possibile per sé e per gli altri.


D: Nella sua esperienza, quanto e in che modo contano i valori, personali e aziendali, nel processo motivazionale volto al raggiungimento degli obiettivi di lavoro?

R: Molto direi. Non c’è obiettivo senza agganci ai valori. O meglio gli obiettivi diventano morbidi… Grigi… Evanescenti... e quindi non motivanti.
Devo essere certo di qualcosa per essere disponibile a lottare per esso… Anche se capisco che di questi tempi ci sono poche cose di cui andare sicuri.


D: Quali sono i principi e i valori di riferimento a cui lei si attiene?

R: Sono 3 i punti cardinali che uso per orientarmi. Uno negativo e due positivi.
1. Non recare danno .
2. Sapere che presto o tardi morirò.
3. Lasciare il mondo più pulito, bello, sano ed in ordine di quando l’ho trovato.
Vale per ogni cosa, sia sul lavoro che nella vita personale.

D: Quali risultano più difficili da perseguire nel concreto? Perché?

R: Tutti e tre, non sono semplici, ma solo perché sono ancora molto immaturo.
Confondo il passato con il futuro e mi astraggo dal presente.
Sono convinto che per una persona matura, veramente matura, l’applicazione paghi più di quello che costa e quindi diventi facile. '

giovedì 13 novembre 2008

mercoledì 12 novembre 2008

DAL LIBRO:'L'ANIMA DELLA LEADERSHIP:2'

Abbiamo più bisogno di leader informati o sapienti?

Il buon senso e il desiderio inducono a rispondere
che se i leader che incontriamo
e che ci guidano
possedessero entrambe le qualità sarebbe una vera fortuna.

Ma talvolta dobbiamo constatare che non è così.

Il tempo nel quale viviamo tende a mettere in ombra
la seconda dimensione a vantaggio della prima.

Nel mondo dell’informazione,
la sapienza sembra aver perso di significato e di valore.

Di significato perchè non è più così chiaro di che cosa si tratti;
di valore, perché non produce, nel breve,
risultati tangibili in termini di ritorno economico.

Ciò che più conta, per la modernità
e per la lotta che essa impone,
non è la sapienza, ma l’informazione, il dato;
non più dunque l’essenza delle cose,
ma il loro peso, la loro velocità, la loro materiale consistenza.

Non il valore intrinseco, ma il valore aggiunto.

Ma di che cosa parliamo quando diciamo “sapienza”?

“Sapienza è il sapere del sapere,
ossia la conoscenza degli ultimi fondamenti
e principi dell’essere e della vita.
Con ciò è data anche l’intelligenza del nesso del singolo con il tutto”.

La sapienza non è dunque una questione di quantità
di informazioni possedute o di nozioni immagazzinate, perché:

“non mira al molto sapere,
ma all’intelligenza degli ultimi principi dell’esistenza.
Saggio deriva da sapere e sapere da vedere.
Il saggio, dunque, è colui che ha visto molto,
che ha penetrato gli abissi della vita, che intravede,
scorge l’essenza delle cose.
Saggio è considerato l’uomo che conosce le cose
nel loro nesso reciproco, che domina i nessi,
conosce come nel profondo tutto è reciprocamente collegato”.

Sapiente è colui che, cogliendo con lucidità
le connessioni fra gli eventi, le cause e gli effetti,
trae insegnamenti dai risultati e acuisce la propria consapevolezza,
come in una spirale progressiva nella quale
l’azione alimenta la conoscenza e viceversa.

Come osserva Romano Guardini:
“… le cose non procedono
nel senso che prima le si conosca interamente
e poi si agisca in conformità ad esse,
ma conoscere e agire convergono in unità.

Dapprima si conosce poco.

Se si agisce secondo questo poco, la conoscenza cresce,
e dalla conoscenza crescente scaturisce un agire potenziato.

Il sapiente non è dunque,
come si sarebbe tentati di credere,
un uomo di attesa, bensì di azione.
Non si trastulla nella meditazione
che non sfocia mai nell’agire,
ma dall’azione trae spunti di conoscenza.
Non è un teorico estraneo alle concrete necessità dell’esistenza
e della professione, ma è persona dall’attenzione ben focalizzata.
Si pone domande. Osserva la realtà e ne legge i segni.

Soprattutto si pone domande orientate a cogliere innanzitutto i perché.
La scienza e la tecnica ci suggeriscono ogni giorno domande sul come:
“come funziona?”, “come si fa?”, “come si dice?”,
ma decisamente meno ci stimolano a domande sui perché,
presunte inutili e poco funzionali.
Eppure, come sostiene Luigi Alici

“Come : perché = scienza : sapienza”.

Di quale sapienza ha dunque bisogno oggi un leader?

Quali pensieri dovrebbero guidarlo?

Se è vero che il sapiente vede ciò che ai più sfugge,
le sue riflessioni dovrebbero indicare verso quale orizzonte
ci si sta dirigendo e quali correzioni di rotta occorre apportare.

Il pericolo più incombente che segna il nostro tempo
è lo stile di vita che ci sta fagocitando,
uno stile rampante, competitivo, a volte aggressivo;
uno stile che incorona vincente chi arriva primo;
uno stile segnato dal culto della prestazione,
nel quale non c’è molto spazio
per la qualità e la profondità delle relazioni,
per l’azione dei mediatori
e dei costruttori di ponti dallo sguardo lungo;
uno stile nel quale tutto si riconduce
all’azione e alla rapidità;
uno stile narcotizzante,
che stiamo accettando in modo acritico
e di cui non riusciamo a scorgere i rischi,
a partire da quello della disumanizzazione dei rapporti.

Diceva, in un convegno ad Assisi nel Natale del 1994,
Alexander Langer, primo presidente del Gruppo Verde del Parlamento Europeo: “Voi sapete il motto che Pierre de Coubertin ha riattivato per le olimpiadi:

citius, più veloce; altius, più alto; fortius, più forte.

Questo è il messaggio che oggi ci viene dato.

Io vi propongo il contrario:
lentius, più lento;
profundius, più profondo;
suavius, più dolce.

Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale,
però si ottiene un fiato più lungo.”

A questo nostro tempo manca proprio il fiato dell’etica,
della prospettiva di lungo termine,
della visione consapevole delle conseguenze di ciò che si fa,
del senso da attribuire all’azione e al risultato.

E così l’etica diventa etichetta, galateo morale,
sommatoria di regole piccole per un “bon ton” di largo consumo.

Il sapiente sa guardare oltre.

Quando parla di bilancio, lo coniuga al plurale:
esistono vari bilanci, sebbene alcuni fra essi non possano essere scritti
e riguardino dimensioni cosiddette intangibili,
come la fedeltà ai principi e il rispetto delle regole.

Nel lungo periodo il bilancio economico,
quello che sembra contare di più
e che d’altra parte garantisce la sopravvivenza dell’azienda,
sarà significativamente influenzato dagli altri bilanci.

Solo una visione miope e di corto respiro non riesce a comprenderlo.
Non è un caso, del resto, che le aziende che realizzano i maggiori profitti
siano quelle i cui valori sono chiari e condivisi e rispettati.
Il sapiente, infine, sapendo andare al centro delle questioni,
e cogliendone l’essenza, ha la capacità di semplificare,
che non vuol dire banalizzare.

Oggi pare che la complessità sia la condizione
che conferisce prestigio all’azione e ne determina il valore;
ciò che è semplice non ha qualità e peso.

Ora, si tratta di capire se tutto ciò che è complesso
non sia invece soltanto complicato,
cioè deliberatamente reso e macchinoso da un’esigenza di autostima,
di immagine o di marketing.

Semplificare può rivelarsi utile
per ricondurre le cose
alla loro dimensione reale,
alla loro effettiva necessità
e dunque per ritrovarne il senso.

Scrive Sebastiano Zanolli, direttore commerciale di Diesel Italia:

“Se ora mi chiedo se la semplicità conviene,
la risposta è sì.

La semplicità significa facilità di comprensione,
d’uso, di gestione di cose
e di processi.
Quindi maggiore fruibilità di ciò che rende soddisfatti e,
per caduta, maggiore felicità.
E non significa che lo sforzo per produrla
sia necessariamente intuitivo o leggero.
La semplicità costa perché vale.
Conviene perché l’alternativa costa uguale e rende meno felici.
La complicazione è spesso un artificio di marketing di privati e imprese
in epoca di concorrenza globale
e non sempre i risultati rispettano la promessa di felicità fatta.
Ma se è un valore e ha un costo serve decidere e perseguirla.
Nelle piccole e grandi scelte quotidiane.
Ma, ripeto, costa.
Costa riconoscere che tutto quello che serve in verità
è molto meno di quello che crediamo.
L’essenza della semplicità è il riconoscimento del poco che siamo
e del poco che necessitiamo;
della sovrastruttura che usiamo per crederci potenti e,
con scarse prospettive, immortali.
Un brutto risveglio per un re del creato che si è così evoluto.
Sento qualcuno lamentarsi che per guadagnare la semplicità serve disciplina. Credo proprio di sì.
La confusione è gratis.
La complicazione può costare,
ma spesso la vendono con un congruo sconto.
La semplicità, di questi tempi, no.
E c’è anche un sovrapprezzo per portarla a casa.
Si chiama chiarezza.
E qui ognuno deve arrangiarsi da sé.
A volte è la chiarezza che trova noi,
ma solo quando abbiamo camminato abbastanza
da ritornare quello che eravamo all’inizio.
Prima della grande abbuffata. …
Sarà sempre bene ricordarsi che proprio perché grande,
confuso e interconnesso,

questo pianeta ha bisogno di gente
che sappia che il proprio bene è contenuto
anche nel bene del prossimo.

Gli altri sono già diventati noi o forse lo sono sempre stati.”

Sebastiano Zanolli, Semplice senza scherzi, www.managerzen.it

sabato 8 novembre 2008

Racconto di Sebastiano da 'People Manager'

Luglio 1991, caldo soffocante, dintorni di Salonicco, Grecia.

Ho con me una pilotina piena di campioni di tessuto,
vesto il mio completo di poliestere/viscosa
e un’improbabile cravatta a fiori,
rotolata fuori dai ruggenti anni Ottanta.

Mi sta di fronte un imprenditore locale,
molto, ma molto più bravo a comprare
di quanto io non sia bravo a vendere.

Inizio.

Approccio,
presentazione del prodotto,
superamento obiezioni,
chiusura.

Seguo come dal manuale di Mario Silvano
tutte le tappe che un manager delle vendite
deve percorrere per finalizzare un affare.
Ma niente, Jorgo è un osso duro.

Non chiudo nulla.

Riprendo daccapo.

Caratteristiche, vantaggi, tecnica del sandwich, ricalco, guida.

Tutta la programmazione neurolinguistica sulla punta delle dita.
Ma in Grecia discettavano di filosofia
e commerciavano quando i miei avi barattavano radici e pigne.
Non c’è storia.

Lui comprerà solo se mi calerò i pantaloni sul prezzo.
Ormai è chiaro. Continuo a perdere terreno.
Sono alla frutta e quindi gioco una carta che mi sembra ottima.

Telefono al titolare, al mio datore di lavoro,
nonché direttore generale.
Il dispensatore di autorità, l’ente supremo. Lui può.
Lui ha tutte le possibilità di risolvere il mio problema
e soprattutto lui sa.

Io credo che lui sappia.

Lui è sopra e lui sa e può.

Non esiste il cellulare nel 1991, non che io almeno sappia.
Quindi cerco un fisso e chiamo.
Spiego.
Dico.
Illustro al capo la situazione.
Ecco, mi basta la soluzione.

Mi aspetto una taumaturgica sentenza.
Ecco è qui l’errore.
Il grande errore.
La mia crassa ignoranza di giovane manager
se ne esce con spudorata semplicità.

Ho pensato che chi sta sopra sappia.

Ho creduto che la mia posizione possa permettere spostamenti di responsabilità.
Ho immaginato che ci sia sempre un aziendale lieto fine grazie a un Deus Ex Machina ,
come nei film di Frank Capra. E nessuna di queste assunzione è vera.
Ecco il testo della risposta.
Lo ricordo a memoria.

“Senti Sebastiano,
mi sembra che tu non sappia come fare
per chiudere questo affare.
Ora, visto che anch’io non so come fare
e inoltre non voglio nemmeno sapere come fare,
non ho nulla da dirti.
Sappi però che quest’azienda si può permettere
solo una persona che non sa come fare,
e ora, per quanto mi guardi intorno
vedo che quell’unica persona sono io.
Quindi, se tu non sai come fare
e io non so come fare,
quello che è di troppo sei tu
e in questo caso ti prego di toglierti di torno”.

Avevo sbagliato tutto.

Avevo sbagliato punto di vista e anche principio.

Il capo ero io.

La funzione era mia.
Il Deus Ex Machina se c’era,
dovevo essere io.
Nessun altro.

Ecco, ho imparato che in cima,
anche in cima a un mucchio di sassi,
si è da soli e nessuno ti toglierà le castagne dal fuoco
e nemmeno deve togliertele.
Succede che per lo stesso fatto di avere accettato un lavoro
hai accettato la responsabilità.
Sono due facce, ma sono la stessa moneta.
L’unica consolazione, dice Donald Trump,
è che almeno in cima non si sta stretti.

Speriamo..

lunedì 3 novembre 2008

CRISTINA BELLEMO: 25 STORIE DI NATALE




Cari amici,

mi fa piacere allegarvi l’invito alla presentazione del mio libro '25 Storie di Natale',

che avrà luogo il prossimo 16 novembre, alle 16.30,

a Palazzo Roberti a Bassano del Grappa: una domenica in libreria,

con lettori-attori e musicisti bambini,

che narreranno per i piccoli ma anche per… i grandi!

Vi aspetto,
un abbraccio,
Cristina

sabato 1 novembre 2008

LARRY WALTERS

Ho letto uno strano libro

e tra i mille pensieri che mi scatenano i libri come questo
mi è rimasta impigliata tra le dita una storia.

Quella di Larry Walters.

Io non so se qualcuno di chi legge sa chi fosse Larry Walters.
Beh, io ho cercato, rovistato il web, guardato le sue foto
alla ricerca del perchè e del come.
Della molla e delle molle

Larry in verità si chiamava Lawrence Richard Walters
e diventò famoso come


"Il pilota della sedia da giardino"



o "Larry Lawn Chair"


Larry non fu accettato in aereonautica perchè era miope.

Larry però voleva volare.

Larry era un camionista che passava tanto tempo a pensare seduto in giardino.
E pensava a come si può volare se non hai un brevetto:
Larry nell'estate dell' '82 mentre finisce la guerra delle Falkland,

mentre si ritrova il corpo di Calvi sotto il ponte dei Black Friars a Londra
e Israle invade il Libano...

Larry...
prende 45 palloni meterologici...
che ha comprato in un oultet di materiale militare...
li riempie di elio...

li attacca alla sua sedia a sdraio....

porta con se un fucile ad aria compressa...

una ricetrasmittente...

Vola.

Larry vola.

Vola.

Vola per 45 minuti.


Sopra San Pedro in California...
Sopra l'aereoporto di Long Beach...

Sopra le piccole cose che ci peoccupano,

Sopra le miserie e sopra le crisi...

Sopra la pace e sopra la guerra...

Sopra il "non puoi" e sopra " è impossibile".


Soprattutto sopra tutto.

Arriva a 1500 metri...

E informa un radioamatore di non preoccuparsi...

E di dire alle autorità che è tutto ok.
Ed è tutto ok.
Spara ai palloni.

Uno alla volta.

Ecco perchè ha un fucile.

Giusto.
Scende e scende male.

Sopra ai fili della corrente.
Ma scende e non si fa nulla.

Ha volato.

Sulla sua sedia.

Ha volato sopra i pregiudizi e le difficoltà.

Nonostante tutto e nonostante tutti.

Con i suoi occhiali e la sua miopia.

Ha vinto lui, ha vinto la sua sedia a sdraio.
Una volta per tutte.
Una volta sola volerà più in alto.
11 Anni dopo Larry vola di nuovo e per sempre.
Vola da solo, perchè non è facile rientrare nelle file dopo che hai fatto il salto.
Dopo che hai capito che puoi volare sulla tua sedia

senza ascoltare il brusio dei senzadio e senzasperanza.

Dopo che hai capito che quello che ci vuole è


l'amore per il tuo sogno.

Dopo avere capito tutto questo può capitare di sentirsi fuori posto.
Non è bello, ma posso, se non giustificare,
almeno comprendere lo smarrimento di chi ha fatto quello che doveva.

Quello che voleva.

Beh, a me la storia di Larry piace.

Mi piace la sua foto in bianco e nero,
seduto sulla sua sedia,
che volteggia a mezz'aria.

Come chi ha già staccato la spina dalle miserie umane.

Buon volo Larry.

Il video di presentazione di "Io, societa' a responsabilita' illimitata"

Un Video che vale : Last lecture di randy Pausch

- "Ogni ostacolo, ogni muro di mattoni, è lì per un motivo preciso. Non è lì per escluderci da qualcosa, ma per offrirci la possibilità di dimostrare in che misura ci teniamo. I muri di mattoni sono lì per fermare le persone che non hanno abbastanza voglia di superarlo. Sono lì per fermare gli altri".